Leibniz
L’armonia prestabilita
Leibniz supera il problema del dualismo cartesiano riducendo tutto a spirito. Fa quindi l’inverso di quello che aveva fatto Hobbes che aveva ridotto tutto a materia.
L’analisi del concetto di sostanza aveva portato Leibniz a ritenere che tutto, in ultima analisi, fosse spirito, cioè monade, e che noi stessi, il mondo e ogni cosa che ci circonda altro non sia che un aggregato di monadi. L’analisi del concetto di sostanza (ogni monade spirituale è in sé sostanza) aveva portato Leibniz ad affermare che le monadi non hanno finestre ciò significa che esse non interagiscono con altre monadi e quindi, di conseguenza, con tutto il mondo circostante (che altro non è che un aggregato di monadi).
Allora come si spiega il fatto che quando decido di alzare un braccio (e la decisione spetta alla mia anima/monade dominante) il braccio si alza (il braccio è una parte del mio corpo fatto di monadi)?
Cioè per dirla nel modo più semplice possibile: se le monadi non possono comunicare, come fa la monade superiore anima ad interagire con il composto di monadi che è il mio braccio?
Per rispondere a tale domanda Leibniz avanza la teoria dell’armonia prestabilita.
Tale teoria postula che quando Dio ha creato le monadi le ha dotate di tutte le potenzialità che poi in seguito avrebbero sviluppato, e che, nella sua infinita potenza e saggezza, ha fatto in modo che ad ogni sviluppo, accrescimento, passaggio di stato dell’una corrispondesse uno sviluppo, accrescimento e passaggio di stato dell’altra.
Detto in altri termini, le monadi, pur nel loro essere autonome le une con le altre, procedono parallelamente.
Il ‘’Grande Orologiaio’’ del mondo
Questo parallelismo fra monadi appare, a quello che abbiamo definito ‘’senso comune’’, come illusorio e falso. Infatti tutto ciò che accade nel mondo, tutto quello che vediamo dinanzi ai nostri occhi, ci suggerisce che ogni movimento sottostà ad un determinato rapporto di causa-effetto. Per ritornare all’esempio del paragrafo precedente, possiamo immediatamente sostenere che: se il mio braccio si muove la causa è la mia volontà o la mia intenzione di muovere il braccio.
Ma la teoria delle monadi, che abbiamo visto e che abbiamo accennato nel paragrafo precedente, preclude a questa spiegazione (le monadi non possono comunicare).
Leibniz deve quindi dare una risposta convincente.
La risposta è che Dio è un grande orologiaio.
Immaginiamo, è questo il ragionamento di Leibniz, che un orologiaio deve assicurare il perfetto e sincronico movimento di due orologi.
Quindi se due orologi, in modo autonomo l’uno dall’altro, devono battere in modo sincronico lo stesso tempo, abbiamo tre vie possibili da seguire:
- I due orologi sono legati con ingranaggi e cinghie in modo che al movimento delle lancette dell’uno segue, in un rapporto di causa-effetto, il movimento delle lancette dell’altro. È la soluzione data da Cartesio.
- L’orologiaio-Dio interviene in ogni momento in modo costante e diretto sui due orologi in modo che segnino sempre la stessa identica ora. È la soluzione occasionalista che abbiamo visto in Geulincx e Malebranche.
- I due orologi sono costruiti in modo tale che, una volta che l’orologiaio-Dio gli dà la carica, essi possano procedere in sincronia per sempre. È la soluzione che da Leibniz: l’armonia prestabilita.
La gnoseologia
Innatismo virtuale
La teoria della conoscenza di Leibniz si sviluppa come risposta a alla tesi sostenuta da Locke nel Saggio sull’intelletto umano (1690).
La teoria di Locke è di tipo empiristico: la mente umana trae i propri contenuti dall’esperienza sensibile, le idee presenti nella nostra mente sono il riflesso o delle sensazioni che ci vengono dal mondo esterno, o sono l’elaborazione di quelle idee che avvengono nella nostra mente. Locke dice: ‘’nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu’’. È la teoria della tabula rasa: tutto ciò che è presente nel nostro intelletto viene dall’esterno. Se non ci fosse esperienza sensibile il nostro intelletto sarebbe vuoto (una tabula rasa)
Leibniz integra nei Nuovi saggi sull’intelletto umano (1704) il motto di Locke nel modo seguente: ‘’nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu, excipte: nisi ipse intellectus’’.
Nulla c’è nell’intelletto che non sia stato nel senso, fatta eccezione per l’intelletto.
Insomma Leibniz aggiunge: ‘’fatta eccezione per l’intelletto’’. Questa concezione è molto importante e va tenuta ferma. Infatti, anche se è vero che tutto ciò che abbiamo nell’intelletto deriva dai sensi, è, in ultima analisi, l’intelletto che organizza questa conoscenza. Quindi nella nostra mente c’è, prima ancora dei contenuti che ci vengono dall’esperienza, qualcosa che organizza questa esperienza. E questo qualcosa è innato, c’è da sempre. L’organizzazione della conoscenza esterna è quindi demandata a strutture logico-matematiche già presenti nella nostra mente. Queste categorie logico-matematiche sono: l’essere, la sostanza, la causa, la percezione, il ragionamento, ecc…
Queste strutture, qui è il passaggio importante, vengono scoperte (diventano consapevoli alla mente) solo grazie alla necessità che abbiamo di organizzare le conoscenze che ci derivano dai sensi. Prima di questo passaggio esse, le categorie con le quali organizziamo le conoscenze che ci derivano dai sensi, sono nella nostra mente ma in modo inconsapevole.
Questa teoria dell’innatismo virtuale contrasta con il concetto di ‘’idea’’ che Locke riprendeva da Cartesio. Per entrambi o l’idea è nella mente e allora ne hai coscienza, oppure non ne hai coscienza e quindi non è nella mente.
Leibniz invece, come abbiamo visto, ammette l’esistenza nella nostra mente anche di idee di cui non si ha consapevolezza. Tali idee non consapevoli, comuni a tutte le monadi, sono le percezioni. Inoltre ammette anche quelle che definisce piccole percezioni o percezioni insensibili che sono derivano dal fatto che l’anima umana è sempre attiva anche quando non se ne accorge; pensate al rumore delle onde del mare in sottofondo mentre stiamo chiacchierando con gli amici: le percepiamo ma non ne abbiamo consapevolezza o ne abbiamo una consapevolezza minima. Le appercezioni invece, comuni solo agli esseri viventi e in particolare agli uomini, sono le rappresentazioni consapevoli.
Le verità di ragione e le verità di fatto
La differenza fra innatismo ed esperienza esterna si riconnette alla differenza fra quelle che Leibniz definisce verità di ragione e verità di fatto.
Le verità di ragione sono proposizioni identiche: cioè il predicato è già contenuto nel soggetto. Facciamo un esempio: l’uomo è un essere bipede. E’ una proposizione identica perché l’essere bipede (il predicato) è già contenuto nel concetto di uomo (soggetto). Altro esempio: il fuoco è caldo. Il predicato caldo non aggiunge nessuna nuova conoscenza al soggetto fuoco. Insomma nell’analisi del termine fuoco è già presente il fatto di essere caldo. E’ lo stesso di triangolo. Appena analizzi il triangolo già nel termine stesso di triangolo sono presenti tutte le sue caratteristiche. Non serve aggiungere, ad esempio, che la somma degli angoli interni è 180°.
Queste proposizioni sono universali e generali, cioè vere e non possono essere confutate perché è logicamente impossibile e si reggono sul principio d’identità e di non contraddizione.
Non si può negare che il fuoco è caldo o che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°.
Le verità di fatto invece sono contingenti: cioè negare una verità di fatto è logicamente possibile ma in realtà è falso. Facciamo un esempio: mentre Giulio guarda la televisione è seduto. Questa verità di fatto non può essere negata (è vero che è seduto) ma può essere logicamente negata (Giulio guarda la televisione in piedi)
Queste verità possono essere accertate o smentite soltanto tramite l’esperienza.
Il fatto che Giulio è seduto non si può in alcun modo ricavare dalla nozione di ‘’Giulio’’.
Il predicato (è seduto) aggiunge un’informazione nuova al soggetto (Giulio).
Perché tale proposizione non sia smentita, oltre al fatto che non deve essere contraddittoria (Giulio mentre guarda la televisione è seduto e cammina), deve anche avere una causa specifica (è seduto perché vuole riposarsi). Tale causa è definita da Leibniz ragion sufficiente.
Conoscenza divina e conoscenza umana
La differenza fra verità di ragione e verità di fatto è fondamentalmente la differenza fra concetti astratti e universali (l’uomo, il fuoco, il triangolo ecc..) e sostanze individuali concrete (Giulio).
Le verità di ragione sono conoscibili in modo pieno sia dall’uomo che da Dio.
Sono conoscibili dall’uomo perché essendo concetti universali sono costruiti dalla nostra mente. Ad esempio il concetto di triangolo è una nostra costruzione mentale (non esiste in natura) e del triangolo possiamo conoscere tutto (è un poligono, ha tre lati, la somma degli angoli interni è 180°, ecc…). Anche se la nostra mente è finita (limitata) può conoscere i concetti universali e le proprietà che ne derivano.
Le verità di fatto sono conoscibili in modo pieno da Dio ma non dall’uomo.
Le verità di fatto, riferendosi alle sostanze individuali non possono garantire una conoscenza completa alla mente finita dell’uomo. Per ritornare all’esempio di prima, dal concetto di Giulio, non possiamo ricavarne tutte le proprietà. Solo Dio può farlo perché il suo intelletto è infinito. Grazie alla sua onniscienza può ricavare dal concetto di Giulio tutte le caratteristiche, proprietà o eventi che lo caratterizzano e lo caratterizzeranno.
Per Dio le verità di ragione e quelle di fatto sono identiche.